IL SENSO DI APPARTENENZA

inserita il 04/08/2011 - da: LUCA SCIACCHITANO

Ieri sera ho partecipato ad un'interessante discussione su facebook partita dapprima dalla questione del burqa femminile e dell'opportunità o meno di creare una legge di fattispecie che lo vieti.

Poi, come tutte le belle discussioni, la nave parte e non si sa dove va a finire.
In questo caso la nave della discussione si è ancorata al porto del "senso di appartenenza".

Ovvero il fatto se sia "buono" o "meno" far parte di un gruppo culturale-politico-sociale etc.

Il mio punto di vista è che indubbiamente il far parte di un gruppo ha i suoi vantaggi egregiamente riassunti dal vecchio adagio "l'unione fa la forza".
Senza contare che, l'appartenere ad un gruppo va incontro ad una delle necessità psicologiche dell'indindividuo: il benessere derivante dal senso di appartenenza, dall'essere parte di qualcosa.

Di contro però, sono convinto che esista un grosso rischio "nell'appartenenza" ovvero il rischio di essere sfruttati dal gruppo.
Infatti il gruppo ha uno scopo, uno "statuto" informale, che va oltre i bisogni dei singoli.
Il rischio che paventavo nella discussione di ieri sera è quello di essere trasformati in "soldatini" per la causa: numeri in una statistica che legittimano o meno determinati comportamenti dei vertici del gruppo stesso.

Comportamenti che possono essere condivisibili al 90% (altrimenti non si sarebbe in quel gruppo) ma possono non essere condivisibili per quel 10%.
Allora cosa deve fare l'appartenente al gruppo?
Denuncia pubblicamente che si dissocia da quel 10% di comportamenti che non rispecchiano il proprio pensiero?
Si auto-tacita per non danneggiare il gruppo?
Fa finta che gli vadano bene quei comportamenti e si mette a sventolare il bandierone?

Io sono l'esempio vivente di soggetto "rimproverato" perchè ha osato contestare le scelte del vertice (mi riferisco a IDV), ma di esempi similari in tutti i partiti, in tutti i gruppi, ne esistono a bizeffe.

E questo, secondo me, perchè, erroneamente, si da più importanza al gruppo che non alla persona.
Infatti io penso che siano le persone, per i motivi più disparati a decidere di aggregarsi sotto un progetto, un'idea, un pensiero comune.
Poi eventualmente "sfruttano" un simbolo perchè gli faciliti il raggiungimento dei loro obiettivi.

Oggi invece mi sembra che spesso succeda il contrario, ovvero che le persone si riuniscono sotto un simbolo che invece di essere "sfruttato", è il simbolo stesso che "sfrutta" le persone aggregandole al proprio franchising di idee delle quali gli aderenti si fanno inconsapevoli (e spesso senza nessun vantaggio apparente) megafono.

E nel caso in cui non si sia daccordo, quel 10% delle volte, l'aderente che fa?
Contesta? Sta zitto? O sventola il bandierone?

 

 

 

© 2010 Luca Sciacchitano
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