TUTTI IN CINA!

news inserita il 19/01/2011 - da: LUCA SCIACCHITANO

Ieri avevo parlato di come fosse fisiologico, all'interno di un mercato che si definisce "libero", che l'industria manifatturiera sia destinata, prima o poi a delocalizzarsi.

A questa tendenza, ovviamente si escludono le produzioni strettamente legate ai territori, per esempio enogastronomico tipico oppure "made in Italy" in senso stretto.

Tutto il resto, con le regole attuali, è destinato a spostarsi nei paesi dove i costi (tutti i costi), sono nettamente inferiori.
Ancora meglio se il paese in questione è anche produttore di materia prima.

Quindi i paesi industrializzati hanno poche strade davanti a loro.

1) O si trasformano in società di consumo: comprano dall'estero e vendono in Italia;
2) O si mettono a produrre innovazione: il televisore che si auto-ripara, la macchina a pannelli solari etc. quindi vivendo sui brevetti e sulle esclusive di tali brevetti;
3) O si mettono a creare e vendere servizi (ma attenzione perchè l'India in questo settore sta diventando quello che la Cina è per il manifatturiero);
4) Oppure, e questa è la strada più controversa, fa intervenire lo Stato attraverso leve fiscali per riequilibrare gli squilibri.

Sul quarto punto mi vorrei dilungare un attimo.
Qual'è lo scopo dell'industria?
Dipende da chi risponde a questa domanda.

Per l'industria stessa è fare utili, ottimizzare e ridurre i costi ed aumentare i ricavi.
L'industria quindi delocalizza e, diminuendo i costi, a parità di ricavi, genera più utile.

La domanda invece va posta allo Stato.
Qual'è lo scopo dell'industria per lo Stato?
Generare beni e servizi, ovvero ricchezza, ovvero PIL.
Ma anche distribuire benessere, posti di lavoro, stipendi e quindi ricchezza nella micro economia delle aree dello Stato.
Quindi dal punto di vista dello Stato, un'azienda che delocalizza crea un danno allo Stato che dovrà provvedere a questo benessere in altri modi, per esempio utilizzando i soldi stessi delle casse pubbliche.

Quindi lo Stato ha un vantaggio se l'azienda rimane, ha una perdita se l'azienda delocalizza.
Insomma: un'azienda che delocalizza crea un danno allo Stato e come tale, lo Stato può essere autorizzato a sanzionare questo comportamento.

Si parla molto di leva fiscale e si pretende che la leva fiscale sia solo riduttiva, cioè detassazione.
Non capisco, se è possibile detassare, perchè non sia possibile anche plustassare.

Pochi lo sanno (e confesso che neanche io conoscevo questo fatto di cronaca specifico) ma l'anno scorso gli USA hanno imposto dazi sull'importazione dei tubi di acciaio dalla Cina.
Hanno plustassato quello che creava loro un danno.

Cosa significa una tassa (per esempio IVA maggiorata) del 30%?
Significa che il produttore Americano più o meno pagherà la stessa cifra sia che li produca in USA, sia che li produca in Cina.
A questo punto, molti potrebbero decidere di produrre direttamente nella propria città senza dover girare mezzo mondo ogni volta che c'è un problema, per esempio, di produzione.

Il discorso quindi deve essere impostato a livello statale secondo il ragionamento che ho esposto sopra:
- La perdita di posti di lavoro è un danno che deve sostenere lo stato ed il welfare. Tutti i prodotti che vengono da fuori i confini (italiani o ancora meglio sarebbe EUROPEI) vengono tassati con IVA al 40%

Perchè il liberismo è bello, ma non è bello essere liberisti con il culo degli altri!

 

 

 

© 2010 Luca Sciacchitano
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